giovedì

Il primo bacio gay. La mia storia d'amore in quarta elementare


Avevo cinque anni e mia madre venne a prendermi all'asilo. Quella volta, uscendo dalla classe, mi presentai tenendo per mano un bambino e una bambina e con una faccia seria (almeno per quanto si ricorda mia madre) dissi: "Mamma, lei è Loredana, la mia fidanzata, e lui è Mario, il mio fidanzato". Mia madre specificò che avrei dovuto scegliere solo la bambina, ma io a brutto muso le risposi: "No! A me, piacciono tutti e due, li voglio tutti e due!".
Alle elementari mi ritrovai in classe con entrambi, ma anche se il mio interesse per Loredana andava diminuendo, continuavo a parlarne con i miei genitori, che mi incoraggiavano a mandarle letterine e disegnini e, durante la ricreazione, spesso la tenevo per mano scimmiottando gli adulti. Ma con Mario era un'altra cosa, con il tempo diventammo sempre più solidali e complici, eravamo io e lui e il nostro segreto, fatto di brevi sguardi e, solo quando gli altri bambini erano distratti, di tenerezze.
Mario, con quel suo viso pallido e spigoloso, quel naso fin troppo pronunciato e lo sguardo aggressivo solcato da profonde occhiaie, non era affatto un bel bambino. Veniva spesso a scuola coperto di graffi e lividi che i suoi quattro fratelli maggiori gli procuravano durante liti e giochi violenti. Il suo grembiule blu era stinto e quasi mai portava il colletto con il fiocco. Uno scolaretto trasandato uscito da una pellicola neorealista. Io invece ero un piccolo lord. Mia madre mi vestiva molto bene, avevo tantissimi capelli biondi tagliati alla Rod Stewart (erano gli anni '70) e sotto il grembiule, t-shirt stampate, pantaloni scozzesi e sneakers scamosciate. In casa le mie sorelle mi adoravano e i miei genitori tendevano ad assecondare quasi tutti i miei capricci. Affermo questo non per vanità, ma per sottolineare quanto io e Mario eravamo agli antipodi. Ma entrambi, pur nascendo da realtà diametralmente opposte, una cosa l'avevamo capita: eravamo innamorati perdutamente l'uno dell'altro.
Un giorno, in quarta elementare, avevamo appena finito di giocare a pallavolo, era una tiepida mattinata primaverile. Ci eravamo rimessi i grembiuli e aspettavamo seduti a bordo campo che la maestra chiamasse i nostri nomi, per poi metterci in fila e uscire dalla scuola. Mario stava a pochi metri da me, sentivo che mi stava osservando, mi alzai e allontanandomi dal gruppo mi incamminai verso l'entrata secondaria. Lui mi seguì, cosi, naturalmente, e lì - nascosti tra il sottoscala e l'ombra delle siepi - mi accarezzò i capelli, mi mise le braccia intorno al collo e mi baciò per la prima volta. Ci baciammo come potevano baciarsi due ragazzini di nove anni con una scarsa conoscenza diretta sull'argomento.
Io e Mario, sapevamo bene chi erano i froci, sapevamo bene che tra maschi certe cose non si fanno, sapevamo bene che stavamo facendo la cosa sbagliata. Sapevamo per certo che, se ci avessero scoperto, i nostri compagni ci avrebbero escluso e i nostri genitori ci avrebbero quasi sicuramente picchiato. Per non parlare, poi, della maestra. Ma noi ci amavamo sul serio e dico sul serio. 
In quinta le cose si fecero più complicate, ci confidammo che ci eravamo pensati tutta l'estate e spesso stavamo vicini e sempre più spesso parlavamo io e lui e nessun'altro. Qualche compagno iniziò a prenderci in giro. "Fidanzati, fidanzati, Ale e Mario sono froci!". Una volta per dimostrare che si sbagliavano lo trattai male e finimmo per fare a botte, finché la maestra non ci divise. Quella volta, a ricreazione, gli chiesi scusa piangendo e lui piangendo le accettò.
La scuola elementare stava finendo, alle medie saremmo andati in posti diversi e negli ultimi giorni, per il dolore, smettemmo perfino di parlarci. Non seppi mai più nulla di lui.

lunedì

'Mamma, con il tuo voto avresti potuto cambiare le cose e non lo hai fatto!'



Il 22 Maggio in Irlanda ci sarà un referendum per rendere il matrimonio civile un'istituzione accessibile anche alle coppie omosessuali. Tre anni fa, proprio a Dublino, abbiamo contratto la civil partnership, che resta l'unione più completa prima del matrimonio. Allora, se i diritti sono simili, che bisogno ci sarebbe di questo referendum? Semplice: dare a tutti le stesse opportunità e la stessa dignità che poi è la prerogativa di uno Stato realmente democratico. La risposta più significativa però me l'ha data Elan, una giovane donna che con suo marito e i suoi 4 figli abita vicino casa nostra a Dublino.
"Alex, certo che andrò a votare e naturalmente voterò sì". "Ho quattro figli - continua - e se uno di loro dovesse essere gay non vorrei un giorno mi dicesse:
'Mamma, con il tuo voto avresti potuto cambiare le cose e non lo hai fatto!'...non me lo perdonerei mai". Elan non è una radical chic e nemmeno una hippy; Pensate che per il loro matrimonio hanno messo i soldi da parte per anni, pur di sposarsi a Roma, perché da cattolici era questo che desideravano più di tutto. Con Elan ci siamo conosciuti una mattina mentre camminavamo verso il bar dove facciamo spesso colazione. Lei ci guardava parlare animatamente e sul punto di incrociarci disse in un italiano approssimativo:" Voi italiani make me felice!", con Edu abbiamo capito subito che quella ragazza cicciottella, sorridente e assai bizzarra nel vestire secondo gli standard italiani, sarebbe diventata nostra amica.
A Elan abbiamo smontato un mito quando le abbiamo detto che in Italia non esiste nessuna forma di tutela civile per le coppie gay. "Ma come? Voi italiani fissati per la famiglia, ma nessun italiano pensa ai propri parenti omosessuali?". Con Edu, mossi da un orgoglio nazionale, pur di salvare la nostra Italia abbiamo provato a dare tutta la colpa al Vaticano, ma abbiamo peggiorato le cose. "Ma che dite? Lo Stato Vaticano, non è mica l'Italia, è nostro compito difendere la libertà individuale, se no finiremo anche noi vestiti tutti di nero da capo a piedi e io ai miei vestiti colorati non ci rinuncio; ve lo dico da irlandese e da devota alla chiesa romana". Mentre parlava io e Edu pensavamo: "Che donna e mamma super, la nostra amica!". Poi per chiudere aggiunse: "Che gli italiani fossero ancora così indietro e così egoisti con i gay non me lo aspettavo proprio".
Confrontandomi su questo tema, sia con amici europei che italiani, ho compreso il punto nodale che ci differenzia dal resto dell'Europa. Noi italiani confondiamo la reazione con l'azione. Sempre pronti a reagire, sempre bravi a scrivere commenti chilometrici e a postare link su Facebook, sempre bravi a gridare "Barabba Barabba"! Sempre pronti con le nostre oscure logiche tribali a riconoscere come assolute solo e soltanto le nostre esigenze. Così succede che l'azione viene meno e tutto resta disperatamente rassicurante e immobile.
Mentre sto scrivendo mi trovo a Dublino e Edu, insieme a molte altre persone, compresa la nostra amica Elan, sta facendo "canvassing", cioè quell'attività tramite cui persone contrastano la politica reazionaria e bigotta dei NO. Quando possono, e volontariamente, vanno porta a porta con la loro bella spilletta "YesEquality" appuntata sul petto, per convincere tutti quegli indecisi ad andare a votare e naturalmente votare per il sì.
Edu quando rientra a casa, mi racconta quello che gli succede. Mi racconta di quelle persone che gli sbattono la porta in faccia, quasi sempre maschi, quasi sempre intorno ai quaranta, ma anche di quelle persone inaspettatamente favorevoli che sono anziani, donne anziane in particolare. Forse perchè in un paese dove il significato della famiglia è così vivo e centrale, i vecchi non si esentano dalla nobile responsabilità di essere considerati i saggi di casa.