giovedì

In Irlanda la parola "amore" esiste. Sarà festa nazionale per i matrimoni gay?


In Irlanda si sta discutendo sulla possibilità di inserire nel calendario nazionale una nuova festa. Un giorno di bank holiday per commemorare il passaggio al same sex marriage, dopo la vittoria dei sì, al referendum tenutosi il 23 maggio di quest'anno. Tutto nasce da una semplice lettera scritta da un cittadino e spedita al partito Sinn Fein, l'uomo chiede all'Irlanda di riconoscere questa data storica come festa Nazionale " ...alle future generazioni, non solo per l'emancipazione degli omosessuali, ma per l'uguaglianza di tutti i cittadini" la lettera è stata poi letta in una seduta della Camera e presa così seriamente in considerazione, che questa ipotetica festa Nazionale ha già un nome " Equality Day".
Che gli Irlandesi (specialmente i Dubliners) siano degli edonisti è appurato: bevono, mangiano e si divertono come se non ci fosse un domani e l' Equality Day potrebbe rivelarsi l'ennesima buona occasione per fare bisboccia. Ma è sopratutto il rivendicare il diritto di una società a rigenerarsi e di capire e assorbire i mutamenti sociali in atto, quando questi comprendono valori umanamente riconosciuti. Un giorno per ricordare che siamo tutti uguali, perché siamo tutti diversi, perché siamo tutti uguali nella nostra unicità.
Restando in tema di matrimoni civili, qui a Dublino proprio l'altro giorno i nostri vicini di casa Deirdre e Pieter si sono sposati. È stata una cerimonia bellissima, lei con il classico abito bianco, lui e i testimoni in un impeccabile completo scuro. La cerimonia e la festa si sono tenuti in un mulino, poco fuori Dublino, una giornata passata tra lacrime (di gioia), brindisi con bevute clamorose e balli per celebrare l'amore, l'amore tra due persone che decidono di condividere le proprie esistenze e le proprie risorse.
Io e Edu siamo rimasti sorpresi e commossi, quando proprio Mary, la mamma della sposa, dopo aver tolto un fiore dal bouquet della figlia, è venuta verso di noi e porgendocelo, ha detto: "Ragazzi, questo rosa è per voi, perché voglio confermare tutto quello che mia figlia e mio genero pensano di voi, siete una coppia unita e generosa, sempre disponibile, siete gli amici e vicini di casa che ognuno vorrebbe, ma che pochi meritano e dato che sono una tradizionalista che crede nell'amore, mi dovete fare una promessa, lo so che siete già uniti civilmente, ma voi due siete destinati al matrimonio e ovviamente voglio essere la prima ad essere invitata... promettete?".
Si, Mary te lo promettiamo e tu sarai l'invitata d'onore, insieme alle nostre famiglie. E, se ci riusciamo, vorremmo sposarci proprio il 23 maggio, il giorno dell'uguaglianza, il giorno che l'Irlanda ha restituito alla parola "amore" il suo significato integro e rivoluzionario.

venerdì

La storia di Giada, che ama una donna "etero" (che non lascerà il marito)


Per qualche minuto aveva smesso di piovere, così mi ero infilato le scarpe e ne avevo approfittato per portare Pedro a fare la pipì. Passando davanti al bistrò sotto casa, Marco il proprietario, e anche mio amico, con un cenno di saluto mi invitava a bere un bicchiere di rosso, che con quel freddo ci stava tutto. Fuori ricominciava a piovere forte, all'interno luci basse e poche persone sedute ai tavoli.
Ero dentro. Dietro il bancone, Marco, barba e ciuffo hipster, interrompe la conversazione e mi presenta Giada, una bella donna mediterranea di circa quarant'anni, poi con tono malinconico e arrabbiato riprende a parlare della sua ex. A distanza di un anno dalla separazione, anche se ormai si sentono solo attraverso rarissimi e banali sms, c'è ancora filo che li unisce, fatto di risentimento e attrazione fisica, un filo ancora troppo stretto, che fa male e che non gli permette di concedersi nuove possibilità.
A Giada invece quel filo, che lei definisce amore, la sta lentamente strangolando. Da più di dieci anni, vive una relazione semi-clandestina con un'altra donna, sposata con un uomo e madre di due figli. 
Chiedo dettagli, cerco di capire e mi arrendo quasi subito. Ci sono storie d'amore che iniziano con un un ideale edificante, ma poi questo ideale per una stupida distrazione o, per una mancanza di educazione sentimentale, viene perduto per strada e impercettibilmente subentra l'abitudine. L'adattabilità morale e spirituale dell'essere umano è sempre sorprendente.
La storia di Giada, è la storia di una ragazza, che ha accettato il suo ruolo di amante, accettando anche una storia di frustrazioni e umiliazioni, che l'hanno sentimentalmente debilitata e resa cinica e insicura. Tutto nasce dalla sostanziale sperequazione su cui si basa il rapporto tra lei e l'altra (l'insospettabile lesbica). L'altra ha un nucleo familiare di riferimento, ha un marito che non ama (come tante donne sposate) ma con cui continua a vivere e ha, appunto, due figli adolescenti, con i quali ha un rapporto difficile e conflittuale e che probabilmente hanno intuito il tipo di relazione che lega la loro madre all'amica Giada.
Invece Giada è sola, isolata e non cerca nessun'altra, vuole lei e solo lei. Si può vivere in funzione di un rapporto fatto di codici e speranze? E di una storia che non va da nessuna parte, tranne il day by day? Si può accettare che il proprio amore, sia così distante dall'amor proprio?
Mi ricordo del mio innamoramento con Edu e di tutta quell'energia innescata, un propellente eccezionale, capace di vincere conflitti e superare pregiudizi (come il suo coming out). Perché quello che volevamo era solo stare insieme. Amando Edu, sono giunto ad una conclusione, che non pretendo certo sia una verità assoluta, ma è la mia verità. L'amore subentra con la conoscenza, è una scelta, un esercizio di responsabilità, che deve renderci più belli fuori e dentro, noi e il nostro partner, contemporaneamente e indissolubilmente.
Bevuto l'ultimo sorso di vino, fisso Giada negli occhi e le chiedo: "Ma se dieci anni fa, ti avessi mostrato la foto sentimentale di ciò che sei ora, della donna che sei diventata, l'avresti frequentata comunque?". Tra sospiri e sguardi nel vuoto i suoi occhi si fanno lucidi e mi risponde un lento e consapevole "no".

martedì

Se stai partendo per le vacanze, porta con te l'amore. E' l'unica cosa che conta


La vacanza è una concessione, un dono che la vita ci offre,
quindi non la spreco. Un tempo troppo prezioso per disperderlo tra litigate e lamentele trascinate. La mia scala di valori in vacanza ha altre priorità: guardare con occhi ironici e grotteschi le cose tendenzialmente brutte e esaltare, potenziare e trovare un significato poetico alle cose che mi piacciono.
In vacanza inforco metaforicamente i miei occhiali con le lenti rosa e voglio vedere tutto rosa! Se state partendo per le vacanze, fate questo esercizio, mettetevi gli occhiali dalle lenti rosa vi assicuro che funzionerà.
G. G. Márquez una volta disse: "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla".
Venti giorni in Sicilia mi hanno fortificato lo spirito, sono stati giorni di mare, di sole e di amore, proprio come avevo sperato. La mattina aprivo gli occhi presto, preparavo il caffè, lo macchiavo con un po' di latte di mandorle e andavo a svegliare Edu, poi lentamente capivamo come volevamo iniziare la giornata, così lasciandoci semplicemente vivere.
Ricordi preziosi da mettere da parte e ritirare fuori all'occorrenza, istantanee che ripesco nel mio cervello: io e Edu che facciamo interminabili bagni in mare e interminabili camminate tra antichi sentieri di pietra, le chiacchiere divertenti mentre ceniamo a casa di Silvio, vecchio pescatore dell'isola di Alicudi... e poi la notte a guardare il cielo nero pieno di stelle grosse come fari in autostrada e il rumore del mare che come un mantra ci porta a formulare pensieri misti di malinconia e serenità.

Se c'è un inizio, c'è sempre una fine, anche per le vacanze. Era l'alba della nostra partenza, il vocio dei pescatori che rientravano a casa mi aveva svegliato e io non volevo più prendere sonno.
Silenziosamente sono sceso a preparare il caffè, ci ho messo dentro un po' di latte di mandorle e sono andato a svegliare Edu, per l'ultimo bagno di quella nostra estate.
Il cielo in alto era ancora scuro, ma dietro la linea d'orizzonte, un sole dorato illuminava il mare, le pareti scoscese di roccia e la vegetazione marina formavano ombre morbide e soffuse; nei fondali nitidi nuotavano piccoli pesci d'argento.
In rispettoso silenzio siamo entrati in quell'acqua fresca e accogliente, siamo restati così per un po', muovendo ogni tanto le gambe, ogni tanto le braccia, tanto per restare a galla. Eduardo, tra mille riflessi di luce, abbronzato, con il suo sorriso bianchissimo mi sussurrava "Ti amo tanto", per non sovrastare il lento sciabordio.
E io mi ritrovavo confuso e sopraffatto al solo pensiero di essere circondato da tanta bellezza e comprendere lucidamente di far parte di quel privilegio. Il privilegio di sentire che la vita in quell'istante mi stava cullando tra le sue immense braccia.

Quando due (tuoi amici) si lasciano. Ecco come ho sostenuto Mr.X e Mr.Y, separati dopo 9 anni


Prima o poi tocca a tutti, non importa chi lascia o chi è lasciato. Una settimana fa è toccato ad una coppia di nostri amici. Dopo 9 anni uno dei due ha cominciato il discorso e, dopo ore di dolore, lacrime, parole e parolacce, i due hanno rotto. Come un pesante sipario che si chiude, travolgendo progetti e aspettative, rimettendo in discussione tutto. La rabbia e la delusione hanno distrutto il centro del rapporto,quella intimità unica e privata che ogni coppia, etero o omo che sia, crea e rafforza con la quotidianità.
Il compito di noi amici è quello di restare più neutrali possibile, pur esprimendo le nostre opinioni e rispettare le loro esigenze di persone ferite che stanno elaborando il famoso concetto del lutto. Che fatica dividerci equamente, ora che la promozione 2 al tempo di 1 è finita.
Mentre Mr.X vuole andare a ballare, cenare fuori e fare cose pazze (simulando allegria) per recuperare un fantomatico tempo perduto; Mr.Y, invece, si scopre intimista e ci costringe ad andare a mostre fotografiche sulla Cambogia e a cene sussurrate a base di musica classica. Con Edu, riflettevamo proprio su questo. L'errore in cui si cade più facilmente (metaforicamente parlando), è quello di ritagliare una foto del nostro partner, metterla su un fondale e pensare poi che quella foto e quel fondale non cambieranno mai. Così, dai discorsi di Mr.X e Mr.Y, dalle loro richieste, ho intuito che la crisi era innescata da tempo e da tempo non avevano più l'esigenza di approfondirla, di superarla e che in comune, alla fine, avevano solo una cosa. L'essere gay.

Digressione: il termine "gay" si usa anche in casi dove al soggetto omosessuale in questione di "gaio" non è rimasto nulla? Un omosessuale continua a essere "gaio" anche quando indossa dolcevita neri, ha gli occhi velati di malinconia e piange ogni cinque minuti?
Una tendenza che abbiamo riscontrato in alcune ex coppie di amici, è quella che li  vede restare, dopo la separazione, anche a distanza di mesi, inspiegabilmente connesse. Di fatto i nostri Mr.X e Mr.Y, dopo anni di convivenza, hanno le stesse fasi, entrambi non rispondono al telefono, mandano sms allo stesso momento e, in sincrono ti richiamano per invitarti la stessa sera, alla stessa ora, ad uscire. Esattamente a me e a Edu è successo questo, quindi che fare? Bugie bianche o declinare entrambi gli inviti? Noi abbiamo preso la scelta della sincerità. Quindi ieri a cena con Mr.X (che ci ha chiamato 2 minuti prima di Mr.Y) e oggi aperitivo con Mr.Y.
Parleremo ancora di decantazione del dolore, dell'importanza della rigenerazione, spostando l'attenzione sulle nuove possibilità che la vita può offrire e su come sia fondamentale esorcizzare luoghi, cibi, canzoni e amici condivisi con l'Ex. Poi la classica frase di una banalità disarmante, ma proprio per questo vera. E chi come me c'è già passato lo sa: "Il tempo aggiusta tutto, il tempo che scorre ridistribuisce il valore alle cose e agli eventi, si tornerà a sorridere, si tornerà a mettersi in gioco".
Anche se per un po', cari neo-single, i vostri i pensieri saranno colonizzati da rabbiosi e dolorosi improvvisi flussi di coscienza.

lunedì

Ero al Pride, ma pensavo all'Isis...


Qui a Dublino, questo Pride è stato storico, è di fatto il primo Pride in Irlanda dove si sono celebrati i diritti umani, dove è stata glorificata una nazione intera, che si riconosce nell'uguaglianza di tutte le diverse realtà che la compongono. Vi pare poco? A noi no.
Quella mattina mentre con Edu mi recavo al corteo ero molto combattuto. Il giorno prima, apprendendo la bellissima notizia dell'estensione del diritto al matrimonio a tutti negli Usa, un senso di fiducia e un rispetto per l'umanità mi avevano fatto brillare di speranza. Sensazione subito oscurata dopo aver letto dei massacri avvenuti ad opera dei terroristi dell'Isis.
Fermi ad un angolo di O'Connell Street, mentre aspettavamo alcuni amici, i carri carichi di musica e colori iniziavano a muoversi e persone di qualsiasi appartenenza sociale, sessuale, economica e razziale. Sfilavano davanti a noi fianco a fianco, ma il mio cervello elaborava la paura e la reale minaccia, la mia espressione era dura e assente. Arrivarono Marilou e Federico, una coppia etero e convivente per scelta, poi ci raggiunsero Alvi una professoressa universitaria di mezza età, lesbica e single insieme a Rubina e Otilya, che sono state fidanzate per un po' di mesi ed ora sono rimaste ottime amiche. Mancava solo Elan, il marito e i loro quattro figli che non tardarono ad arrivare.
Edu, con tono preoccupato mi chiese: "Ale, tutto ok? Stiamo andando ad una festa, non ad un funerale". Gli spiegai i motivi di quella mia espressione e iniziammo a discuterne tutti insieme. Eravamo lì a marciare, parlando di quella che abbiamo definito quasi subito una "guerra geo-morale". Tra battute, passi di ballo e commenti seri, dopo circa un'ora arrivammo a destinazione, Merrion Square Park. Il corteo stava finendo e noi avevamo trovato una risposta che ci metteva tutti d'accordo.
In questi tempi di orchi e di draghi, dobbiamo serrare i ranghi, restare uniti... restare umani. Noi cittadini comuni, per contrastare questa avanzata, non dovremmo mai commettere l'errore di mettere in campo (moralmente parlando) una forza opposta ed identica. È necessario esprimersi attraverso una forza opposta e contraria. Per capirci, non si può affermare "Je suis Charlie" perché si disprezzano, o si giudicano inferiori, i musulmani, le donne o gli omosessuali.
Quindi, "Je suis Gay Pride", se vogliamo darci tutti una speranza concreta e ricostruire senza paura una società equa, dove ogni individuo, ogni essere umano, nel suo tragitto dalla nascita alla morte, sia messo nelle condizioni di autodeterminare la propria dignità come meglio crede e abbia a disposizione quelle possibilità per esprimersi al meglio. Possibilità insite nella pacifica convivenza e nella comprensione di tutte le differenze.
Intanto la festa del Pride continuava, nella piazza stracolma. Sul palco era appena salita Panti Bliss, una famosa Drag Queen amata e rispettata per le sue battaglie civili. Stava girando un video da lasciare alle generazioni future e con un cenno ci esortava tutti ad urlare un liberatorio e commosso: "Grazie Irlanda!". Perché, si sa, "il ringraziamento è la vibrazione più pura che oggi esista sul pianeta.

Italian Pride 2020...


Questo racconto di fantasia si basa su fatti realmente accaduti e che purtroppo continuano ad accadere.
Tutto iniziò a precipitare nell'estate di alcuni anni fa, quando gruppi di estrema destra s'infiltrarono in un corteo del Gay Pride di Milano e, armati di mazze da baseball, iniziarono a darle di santa ragione a tutti quelli che capitavano a tiro. Una mia amica, ad esempio, quel giorno ci ha rimesso un occhio. Nel senso che, con una mazzata in piena faccia gli è proprio volato via. Mi raccontava che, mentre colpivano la gente, i ragazzi di estrema destra urlavano slogan tipo: "Fuori i froci dall'Italia!", "La famiglia è una sola!", "Ve la correggiamo noi la vostra natura!".
Da allora sono successe molte cose, i diritti civili per le persone Lgbt non sono più arrivati e il Parlamento europeo, dopo diversi richiami, ha preso la palla al balzo e ha estromesso l'Italia dalla Comunità europea. L'Italia ha trovato così un buon sostegno morale ed economico dalla Russia e da alcuni paesi Arabi e Africani. Molte aziende si sono trasferite (perfino Dolce & Gabbana) o si sono adeguate ai nuovi standard imposti. Ikea ad esempio, ha smesso di usare coppie omosessuali nelle sue pubblicità. Le famiglie arcobaleno sono solo un ricordo, da quando un ddl proposto dal PNF (Partito Nazionalista Familyday) è stato votato all'unanimità.
La legge, inoltre, prevede che ogni coppia omosessuale che decide di restare in Italia e regolarizzare la propria posizione sia tenuta a comunicare il nome del partner designato al cambio di sesso, entro e non oltre sei mesi prima la scadenza della celebrazione del matrimonio civile. Per le coppie con figli, il richiamo è ad effetto immediato, perché ogni bambino ha diritto ad una mamma e ad un papà. Ai single con figli minorenni, che si rifiutano di trovarsi un partner, ne sarà assegnato uno a caso, estratto dalle liste statali.
Per tutti i soggetti Lgbt, che frequentano con profitto le terapie riparative lo Stato italiano provvede al reinserimento sociale. Nelle scuole statali, invece, durante l'ora di educazione civica, alle bambine viene insegnata Economia domestica, Portamento, Conversazione e per le più grandi, Introduzione ai doveri coniugali e Dovere della procreazione. Ai maschi viene insegnato a sparare alle sagome, a guidare mezzi pesanti e, ovviamente, è basilare la Teoria del gioco del calcio applicata alla vita di tutti i giorni. Ci dicono che ci sono cose più importanti e urgenti da risolvere, rispetto a questa storia dei diritti civili per i froci; ci dicono che noi non siamo una priorità, perché alla fine non facciamo parte del reale tessuto sociale.
Molti di noi, si sono rifugiati all'estero e quelli rimasti sono schedati e controllati periodicamente dalla polizia morale. Anche quest'anno alcuni superstiti proveranno a sfilare al Pride, ma alla fine succederà come l'anno scorso. Arriveranno le forze dell'ordine a protezione del solito gruppo di nazionalisti per la famiglia, che al grido di "Basta froci!" prenderanno due o tre di noi a caso. E, dopo averci bendato, ci butteranno di sotto da qualche balcone, così come atto dimostrativo, come monito.
Sì, alla fine ci siete riusciti, ci avete tolto quel sorriso e quella gioia ottimista che mostravamo ai nostri cortei. Alla fine siete riusciti a toglierci anche quella stupida fiducia che riponevamo nel genere umano e nei nostri "fratelli", alla fine siamo diventati come volevate voi, siamo diventati invisibili. Ma noi non molliamo e non molleremo. Perché come ha detto una volta qualcuno: "Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso".

mercoledì

"Tra voi due, chi fa l'uomo e chi fa la donna?". Vi racconto una storia d'ignoranza e curiosità

Era il primo Maggio di alcuni anni fa ed eravamo andati a festeggiare dai miei che vivono fuori Roma. Scesi dalla macchina, eravamo stati accolti da un bel po' di gente, oltre alla mia famiglia, c'erano anche tanti amici e persone nuove. La fidanzata di mio nipote, dopo un po' ci era venuta incontro, dicendo: "Venite, ci sono i miei genitori che vogliono conoscervi, sapete a loro state tanto simpatici, voi gay!".

Mentre io pensavo "Be', se ci chiamiamo 'gay' è perché siamo simpatici per definizione", eravamo arrivati di fronte a loro e ci eravamo presentati. La coppia era seduta in un piccolo tavolo sotto la veranda, due persone dall'aspetto gradevole. Da subito si rivolsero a noi in maniera molto confidenziale, ma con una distanza intrinseca, un po' come fanno molti italiani "non razzisti" quando conoscono ad esempio gli africani. Possono essere anche degli africani anziani e distinti, ma poco importa: iniziano dandogli del tu e continuano a parlargli in maniera amichevole, ma con un sotto-testo e un metalinguaggio, che specificano costantemente "la differenza tra noi e voi"... Ecco, ho avuto questo tipo di sensazione, mi dispiace non riesco a spiegarlo meglio di così.
Chiacchieravamo educatamente del più e del meno, mentre loro ci osservavano, cercando forse di scoprire dei dettagli che conclamassero la nostra omosessualità, alla ricerca di un segno: le scarpe con i tacchi a spillo? Una maglietta in lycra rosa? Niente, eravamo perfettamente e comodamente vestiti per la festa dei lavoratori.
- Lei, con tono colloquiale: "Noi conosciamo un po' di gay, sapete, alla fine tutti fanno il filo a mio marito, hanno un debole per lui... ma restano a bocca asciutta!"
- Lui: "E così siete fidanzati?" 
- Edu: "Un po' di più, siamo uniti civilmente."
- Lui, ridendo compiaciuto mentre cercava lo sguardo complice della moglie: "E, tra voi due, chi è che fa l'uomo e chi è che fa la donna?"
Mentre Edu restava impietrito, io in un impeto di orgoglio civile, avrei voluto parlargli del ruolo del sesso come comunione e linguaggio dei corpi, del radicato e crudele ruolo passivo delle donne, del concetto ingiustamente negativo delle persone sessualmente riceventi, avrei voluto parlargli dell'amore, dell'unicità che ogni coppia crea ed esprime, avrei voluto parlargli del rispetto. Ma sarebbe stata lunga da spiegare e loro, dietro quella semplice e provocatoria curiosità, cercavano solo la rassicurante conferma che eravamo "noi" omosessuali che aspiravamo ad essere una coppia come "loro" eterosessuali.
Avevo in mano una risposta sarcastica: "Scusate, ma ci avete visti bene? Abbiamo i capelli rasati, indossiamo pantaloni larghi e magliette scolorite... È evidente che siamo entrambe donne, siamo donne, camioniste e lesbiche". Non era la risposta che si aspettavano e non risero alla battuta. Ma almeno capirono che, nel mondo reale, non sempre i gay sono buffi e simpatici.

martedì

Mia nipote mi ha raccontato la leggenda della bandiera arcobaleno



"Tutti i grandi sono stati bambini una volta (Ma pochi di essi se ne ricordano)". Ci eravamo svegliati da poco, quando il cellulare di Edu vibrò e comparve un sms: "Venite a fare colazione al bar?". Ce lo avevano appena mandato Serena e David, una coppia di amici e vicini di casa che hanno due figlie, Sofia di 11 e Linda di 3 e per le loro bimbe. Io e Edu siamo zio Ale e zio Edu.
Seduti al solito Bar, Sofia, tira fuori dalla tasca un braccialetto coloratissimo fatto di elastici intrecciati: "Zio Ale, questo l'ho fatto per te, con la bandiera rainbow così oggi al Gay Pride lo indossi". Poi facendosi spazio tra caffè, cornetti e spremute, poggia sul tavolo alcuni oggetti e continua "ho portato tutto l'occorrente per prepararne anche un altro per zio Edu!". "Grazie Sofy è splendido, ma lo sai perché la bandiera dei diritti degli omosessuali ha i colori dell'arcobaleno?".
"No, non lo so... però lo immagino". Sorpreso le chiedo: "Hai immaginato il motivo? Lo sai che ora sono curiosissimo!". Sofia, continuando a confezionare il secondo braccialetto al suo piccolo telaio, proprio come farebbe una vecchia di paese, inizia a raccontare la sua versione della storia:
"Tanti anni fa in un villaggio antico, gli abitanti erano tristissimi, perché era vietato amare, potevano parlare, mangiare e lavorare, ma nessuno poteva innamorarsi o uscire dal villaggio, altrimenti sarebbero finiti in carcere. Tutta quella energia brutta e grigia, saliva fino in cielo e si trasformava in nuvoloni e pioggia, in fatti in quel villaggio il tempo era sempre brutto. Un giorno due ragazzi, nel senso di due ragazzi maschi, si innamorarono l'uno dell'altro e tutti potevano vederlo, perché i loro occhi erano diventati di millecolori.
Si sparse la voce e, mentre arrivavano le guardie per arrestarli, tutte le persone di quel villaggio iniziarono a mettersi uno sopra l'altro. Formarono così una torre per farli arrampicare, oltrepassare il muro e farli scappare. i due ragazzi iniziarono a salire e mentre salivano successe una cosa strana, anche gli occhi di tutti gli altri diventavano di millecolori.
Così i ragazzi innamorati riuscirono a fuggire. Quando furono abbastanza lontani, si girarono per guardare il loro villaggio per un'ultima volta. Con stupore si accorsero che tutti i loro amici erano saliti sulle mura per salutarli e tutti insieme con i loro occhi multicolori formavano un enorme luminosissimo e coloratissimo arcobaleno".

giovedì

Il primo bacio gay. La mia storia d'amore in quarta elementare


Avevo cinque anni e mia madre venne a prendermi all'asilo. Quella volta, uscendo dalla classe, mi presentai tenendo per mano un bambino e una bambina e con una faccia seria (almeno per quanto si ricorda mia madre) dissi: "Mamma, lei è Loredana, la mia fidanzata, e lui è Mario, il mio fidanzato". Mia madre specificò che avrei dovuto scegliere solo la bambina, ma io a brutto muso le risposi: "No! A me, piacciono tutti e due, li voglio tutti e due!".
Alle elementari mi ritrovai in classe con entrambi, ma anche se il mio interesse per Loredana andava diminuendo, continuavo a parlarne con i miei genitori, che mi incoraggiavano a mandarle letterine e disegnini e, durante la ricreazione, spesso la tenevo per mano scimmiottando gli adulti. Ma con Mario era un'altra cosa, con il tempo diventammo sempre più solidali e complici, eravamo io e lui e il nostro segreto, fatto di brevi sguardi e, solo quando gli altri bambini erano distratti, di tenerezze.
Mario, con quel suo viso pallido e spigoloso, quel naso fin troppo pronunciato e lo sguardo aggressivo solcato da profonde occhiaie, non era affatto un bel bambino. Veniva spesso a scuola coperto di graffi e lividi che i suoi quattro fratelli maggiori gli procuravano durante liti e giochi violenti. Il suo grembiule blu era stinto e quasi mai portava il colletto con il fiocco. Uno scolaretto trasandato uscito da una pellicola neorealista. Io invece ero un piccolo lord. Mia madre mi vestiva molto bene, avevo tantissimi capelli biondi tagliati alla Rod Stewart (erano gli anni '70) e sotto il grembiule, t-shirt stampate, pantaloni scozzesi e sneakers scamosciate. In casa le mie sorelle mi adoravano e i miei genitori tendevano ad assecondare quasi tutti i miei capricci. Affermo questo non per vanità, ma per sottolineare quanto io e Mario eravamo agli antipodi. Ma entrambi, pur nascendo da realtà diametralmente opposte, una cosa l'avevamo capita: eravamo innamorati perdutamente l'uno dell'altro.
Un giorno, in quarta elementare, avevamo appena finito di giocare a pallavolo, era una tiepida mattinata primaverile. Ci eravamo rimessi i grembiuli e aspettavamo seduti a bordo campo che la maestra chiamasse i nostri nomi, per poi metterci in fila e uscire dalla scuola. Mario stava a pochi metri da me, sentivo che mi stava osservando, mi alzai e allontanandomi dal gruppo mi incamminai verso l'entrata secondaria. Lui mi seguì, cosi, naturalmente, e lì - nascosti tra il sottoscala e l'ombra delle siepi - mi accarezzò i capelli, mi mise le braccia intorno al collo e mi baciò per la prima volta. Ci baciammo come potevano baciarsi due ragazzini di nove anni con una scarsa conoscenza diretta sull'argomento.
Io e Mario, sapevamo bene chi erano i froci, sapevamo bene che tra maschi certe cose non si fanno, sapevamo bene che stavamo facendo la cosa sbagliata. Sapevamo per certo che, se ci avessero scoperto, i nostri compagni ci avrebbero escluso e i nostri genitori ci avrebbero quasi sicuramente picchiato. Per non parlare, poi, della maestra. Ma noi ci amavamo sul serio e dico sul serio. 
In quinta le cose si fecero più complicate, ci confidammo che ci eravamo pensati tutta l'estate e spesso stavamo vicini e sempre più spesso parlavamo io e lui e nessun'altro. Qualche compagno iniziò a prenderci in giro. "Fidanzati, fidanzati, Ale e Mario sono froci!". Una volta per dimostrare che si sbagliavano lo trattai male e finimmo per fare a botte, finché la maestra non ci divise. Quella volta, a ricreazione, gli chiesi scusa piangendo e lui piangendo le accettò.
La scuola elementare stava finendo, alle medie saremmo andati in posti diversi e negli ultimi giorni, per il dolore, smettemmo perfino di parlarci. Non seppi mai più nulla di lui.

lunedì

'Mamma, con il tuo voto avresti potuto cambiare le cose e non lo hai fatto!'



Il 22 Maggio in Irlanda ci sarà un referendum per rendere il matrimonio civile un'istituzione accessibile anche alle coppie omosessuali. Tre anni fa, proprio a Dublino, abbiamo contratto la civil partnership, che resta l'unione più completa prima del matrimonio. Allora, se i diritti sono simili, che bisogno ci sarebbe di questo referendum? Semplice: dare a tutti le stesse opportunità e la stessa dignità che poi è la prerogativa di uno Stato realmente democratico. La risposta più significativa però me l'ha data Elan, una giovane donna che con suo marito e i suoi 4 figli abita vicino casa nostra a Dublino.
"Alex, certo che andrò a votare e naturalmente voterò sì". "Ho quattro figli - continua - e se uno di loro dovesse essere gay non vorrei un giorno mi dicesse:
'Mamma, con il tuo voto avresti potuto cambiare le cose e non lo hai fatto!'...non me lo perdonerei mai". Elan non è una radical chic e nemmeno una hippy; Pensate che per il loro matrimonio hanno messo i soldi da parte per anni, pur di sposarsi a Roma, perché da cattolici era questo che desideravano più di tutto. Con Elan ci siamo conosciuti una mattina mentre camminavamo verso il bar dove facciamo spesso colazione. Lei ci guardava parlare animatamente e sul punto di incrociarci disse in un italiano approssimativo:" Voi italiani make me felice!", con Edu abbiamo capito subito che quella ragazza cicciottella, sorridente e assai bizzarra nel vestire secondo gli standard italiani, sarebbe diventata nostra amica.
A Elan abbiamo smontato un mito quando le abbiamo detto che in Italia non esiste nessuna forma di tutela civile per le coppie gay. "Ma come? Voi italiani fissati per la famiglia, ma nessun italiano pensa ai propri parenti omosessuali?". Con Edu, mossi da un orgoglio nazionale, pur di salvare la nostra Italia abbiamo provato a dare tutta la colpa al Vaticano, ma abbiamo peggiorato le cose. "Ma che dite? Lo Stato Vaticano, non è mica l'Italia, è nostro compito difendere la libertà individuale, se no finiremo anche noi vestiti tutti di nero da capo a piedi e io ai miei vestiti colorati non ci rinuncio; ve lo dico da irlandese e da devota alla chiesa romana". Mentre parlava io e Edu pensavamo: "Che donna e mamma super, la nostra amica!". Poi per chiudere aggiunse: "Che gli italiani fossero ancora così indietro e così egoisti con i gay non me lo aspettavo proprio".
Confrontandomi su questo tema, sia con amici europei che italiani, ho compreso il punto nodale che ci differenzia dal resto dell'Europa. Noi italiani confondiamo la reazione con l'azione. Sempre pronti a reagire, sempre bravi a scrivere commenti chilometrici e a postare link su Facebook, sempre bravi a gridare "Barabba Barabba"! Sempre pronti con le nostre oscure logiche tribali a riconoscere come assolute solo e soltanto le nostre esigenze. Così succede che l'azione viene meno e tutto resta disperatamente rassicurante e immobile.
Mentre sto scrivendo mi trovo a Dublino e Edu, insieme a molte altre persone, compresa la nostra amica Elan, sta facendo "canvassing", cioè quell'attività tramite cui persone contrastano la politica reazionaria e bigotta dei NO. Quando possono, e volontariamente, vanno porta a porta con la loro bella spilletta "YesEquality" appuntata sul petto, per convincere tutti quegli indecisi ad andare a votare e naturalmente votare per il sì.
Edu quando rientra a casa, mi racconta quello che gli succede. Mi racconta di quelle persone che gli sbattono la porta in faccia, quasi sempre maschi, quasi sempre intorno ai quaranta, ma anche di quelle persone inaspettatamente favorevoli che sono anziani, donne anziane in particolare. Forse perchè in un paese dove il significato della famiglia è così vivo e centrale, i vecchi non si esentano dalla nobile responsabilità di essere considerati i saggi di casa.

martedì

ZIO TOM ERA GAY



La capanna dello zio Tom è la storia di uno schiavo nero, devoto al suo buono e generoso padrone bianco. Zio Tom sapeva stare in società, sapeva quale era il suo ruolo in un mondo di bianchi. Zio Tom sapeva farli divertire, ma al momento giusto sapeva anche rassicurarli, per lui essere schiavo era una condizione "naturale". Per lui, gli schiavi neri esistevano grazie ai buoni padroni bianchi e, l'idea che un giorno un nero sarebbe potuto diventare presidente degli Stati Uniti d'America, non lo sfiorava nemmeno.
Ora con le dovute differenze e il massimo rispetto per gli schiavi, vorrei far presente le sperequazioni sociali e le piccole e grandi umiliazioni che gay, lesbiche e trans in Italia subiscono ogni giorno. Vorrei ricordarvi che in Italia, lo Stato non è nemmeno capace di prendersi la responsabilità di difendere i propri figli omosessuali delle violenze dettate e perpetrate solo e soltanto per l'odio radicato verso di noi... Solo e soltanto per omofobia.
Ecco, in questa Italia, ultima in classifica in quasi tutto, mancavano giusto gli zii Tom gay, pronti a farsi portavoce di un tipo di tradizione che altro non è che la zavorra della società civile, che non permette a questo martoriato paese di decollare, delegittimando dietro una 'opinione personale' le battaglie di chi, consapevole di essere un cittadino di serie B, vorrebbe accedere a tutti quei diritti che lo Stato ci ha sottratto appena abbiamo fatto coming out, appena abbiamo voluto condividere un progetto di vita in coppia, appena ci siamo mostrati autentici.
Se a uno Zio Tom gay gli spieghi che anche tu un giorno vorresti avere la possibilità come gli altri cittadini di sposarti, ti rispondono attraverso i giornali tra l'incredulo e lo scandalizzato "Ma noi siamo gay, noi non ci sposiamo!" oppure se cerchi di far comprendere loro, che l'orientamento sessuale, non centra una mazza con la capacità di allevare bambini, te li ritrovi al Tg nazionale che sentenziano: "ma noi siamo gay, non possiamo avere bambini!".
Poi ci sono le frange più folk, quelli che certi etero definirebbero 'i miei amici gay', buffi e rassicuranti stereotipi che associano ancora l'omosessualità alla trasgressione e su questo (vecchio) stereotipo, e questa (vecchia) trasgressione, ci hanno costruito la loro carriera. Loro fanno un po' di tutto per galleggiare e all'occorrenza vengono usati anche come opinionisti. Così può capitare che mentre sto facendo una passeggiata con Edu e magari avrei voglia di dargli un bacio, dai microfoni di qualche radio, senti lo Zio Tom gay lanciare invettive verso di noi che ci baciano in pubblico, ricordandoci che certe cose le possiamo fare solo nascosti al buio nelle cantine. Esibire il proprio affetto è una prerogativa che appartiene solo a gli eterosessuali e detto da un gay doc come lui, vale doppio. Il suo buon padrone etero, lo ascolta annuisce e applaude vivacemente. Altri invece hanno un approccio filosofico e si spingono fino a definire i nostri sentimenti 'gli amori omosessuali'. A questi ultimi mio marito risponderebbe: "ehi, l'amore è uno e declinabile: c'è l'amore per il proprio compagno, per la propria famiglia, per i figli e per gli amici e soprattutto per i più deboli: non esiste l'amore omosessuale, l'amore è amore."
Cari Zii Tom, prima di essere omosessuali, vi ricordo ancora che siamo cittadini italiani. Le vostre opinioni sono opinabili, ma restano profondamente e pericolosamente apologetiche, proprio perché espresse in un contesto di totale e reale mancanza di diritti. La democrazia è un esercizio di allineamento, basato sulla dignità individuale e sui valori umani condivisi. Qualcuno deve fare un passo avanti e necessariamente qualcun'altro deve farne uno in dietro. Non è forse in questo modo che si crea una società contemporanea e si attenua il conflitto sociale? Ma voi comprendete la pressante umiliazione di essere cittadini di serie B? Evidentemente preferite considerarvi schiavi di serie A. Dopotutto la catena alla quale siete attaccati è lunga e il vostro collare non è poi così stretto.
...Si sa, i "froci" per natura adorano gli accessori fetish e i "negri" hanno un innato senso del ritmo.